Traduco liberamente un recente articolo dal sempre ottimo blog di Katya Andersen (seguilo!). E’ un’intervista agli autori di “The science of giving“, libro di recente pubblicazione che discute (e sta facendo molto discutere!) il rapporto tra emozione e ragione nella scelta di donare.
Prendendo spunto da questo estratto, ti propongo di riflettere su due punti che mi sembrano imprescindibili:
- per fare del buon fundraising, devi davvero conoscere a fondo i tuoi donatori: la loro identità, le loro abitudini, cosa ha incontrato la loro attenzione e disponibilità (e qui la tecnologia aiuta… gli strumenti ci sono!).
- dedicare tempo e risorse a costruire e coltivare relazioni genuine paga. Assunto per molti (leggi: direttori, consigli direttivi, settore amministrativo…) improponibile! Penso che sia un tema che interessa o ha interessato anche te, che magari sei fundraiser in una piccola o media organizzazione non profit, quando di risorse ce ne sono poche e la fretta é tanta… ne parleremo prossimamente!
Buona lettura!
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Katya Andersen: Quali sono le tre grandi verità sulle persone e l’atto di donare che emergono in “The science of giving”?
Oppenheimer: Penso che siano queste:
- Per prima cosa, quando si tratta di donare le persone non sono “razionali” come descritto dalla teoria economica. Siamo influenzati da molti fattori che, a logica, non dovrebbero influenzarci. infatti doniano sulla spinta di istinti e impulsi: la scelta di donare o non donare si basa sull’emotività. Spesso, questo fatto genera comportamenti controintuitivi, il che ci porta a un secondo importante messaggio:
- la prova dei fatti é davvero importante. I fundraiser che seguono solo il proprio intuito per creare sollecitazioni, potrebbero finire col lanciare appelli inefficaci (o addirittura che gli si rivoltano contro!). Dobbiamo perciò riconoscere che lo studio e la ricerca rivestono un ruolo importantissimo nel determinare i migliori approcci di fundraising e le organizzazioni non profit dovrebbero costurire empiricamente una seria conoscenza dei propri donatori.
- Disegnare sollecitazioni che stimolano certe leve psicologiche può farci sentire dei manipolatori, ma qui incontriamo un terzo messaggio: le persone vogliono veramente donare. Alle persone piace donare: le fa sentire felici, restituisce un senso di compiutezza. Quando aiutiamo una persona a donare, non stiamo solo dando una mano ad un’organizzazione e alla causa che sostiene: stiamo anche aiutando i nostri donatori.
Olivola: i tre punti fondamentali che emergono da “The science of giving” sono questi:
- quando, se e quanto scegliamo di donare é fortemente influenzato da una norma sociale, cioé l’abitudine alla donazione delle persone a noi più vicine influenza la nostra decisione (pensiamo agli amici, vicini di casa, colleghi e via dicendo).
- La scelta di donare é motivata in gran parte dai sentimenti e dalle emozioni che sostenere una certa causa ci suscita (pensa agli stati d’animo e alle emozioni che vengono richiamate in alcuni appelli di fundraising!), piuttosto che dal pensiero di quanto utili possiamo effettivamente essere, anche se la gran parte dei donatori sceglie sempre di fare il quanto più gli é possibile in un dato momento.
- Spesso donare ci fa sentire molto soddisfatti, sensati e felici, anche se costruire una relazione duratura tra l’abitudine al dono e il proprio benessere é complesso e ancor di più é complicato separarsi da quanto guadagniamo duramente e faticosamente”.
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Ragione o sentimento? Mai fatto scendere una lacrima per ottenere un risultato? O la tua organizzazione investe molto nell’informazione completa e scientifica al donatore?
Discutiamone, lascia un commento!
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